
Quel posto si trovava ai margini estremi del plausibile.
Raramente un libro trasmette la sensazione di contenere al suo interno una gamma di dimensioni, non sfumature, toni o colori, ma dimensioni. Ecco, Zero K è un libro che possiede al suo interno, nel suo senso più profondo, intimo, non una morale, un bene o un male, ma una dimensione. E questa si sviluppa all’infinito, nello spazio e nel tempo della lettura, grazie alla storia e all’arte della scrittura di DeLillo, accrescendola ulteriormemte ed ampliandola all’infinito.
È come galleggiare nello spazio, in orbita, osservando la Terra. Una sensazione di immaterialità, un capogiro, uno stordimento. Il resto è il prodotto di un sapiente artigiano della parola scritta in cui vari ingredienti come tecnologia e scienza, ricerca di senso, potere e denaro, immaterialità e radici, contribuiscono a rafforzare il viaggio di un padre e di un figlio in quella crepa nel terreno, fisica e metaforica, in cui la crioconservazione dei corpi scioglie, in un amalgama difficilmente decifrabile, tecnica e fantasia.