Uomini e caporali

In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla. […]. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall’idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere. Walter Benjamin, Sul concetto di storia, Torino, Einaudi, 1997

Il reportage narrativo Uomini e caporali è insieme pratica concreta di ricerca e testimonianza in Alessandro Leogrande. Ricerca e testimonianza per portare alla luce del nostro sguardo, la riduzione in schiavitù in cui versano migliaia di uomini e donne che lavorano nelle campagne del Tavoliere delle Puglie.

Non è casuale, difatti, il richiamo che lo stesso Leogrande fa, nelle pagine conclusive del suo scritto al Benjamin di Sul concetto di storia, è lì che il suo lavoro trova compimento.

«Sono muti, ma se parlassero, direbbero che non pretendono la vita eterna, la ricomposizione dei cocci, la risurrezione dei corpi. Non rivendicherebbero la restituzione del maltolto. Vogliono solo essere considerati per quello che effettivamente essi furono: uomini, donne, bambini, ragazzi… Questo direbbero, questo dicono i loro occhi vivi. Vogliono solo un pò di dignità.»

Uomini e caporali, la cronaca in un libro

La cronaca racconta che d’estate tra i dieci e i quindici mila lavoratori stranieri, provenienti dall’Africa e dall’Europa dell’Est si riversino nel Tavoliere delle Puglie impegnati nella raccolta dei pomodori e delle altre coltivazioni. Fantasmi agli occhi dei più: li vediamo a capo chino lungo le strade impegnati a lavorare ma nulla sappiamo delle condizioni a cui sono costretti. Privati delle più elementari libertà, controllati da kapò che il più delle volte – gestendo la rete dell’immigrazione – li hanno fatti giungere dai paesi di origine dietro false promesse smentite a suon minacce e botte.

Vivono segregati in casolari fatiscenti o in baraccopoli, in condizioni igieniche, lavorative e salariali atroci. La paga oraria di tre euro euro e cinquanta, viene sempre alleggerita dai balzelli per i caporali. I pochi soldi che restano vengono utilizzati per pagarsi il giaciglio e la spesa alimentare, al limite della sopravvivenza. Ecco che schiavizzando la manodopera il costo del lavoro diventa pari a zero.

«Una volta arrivati in Puglia, i braccianti sono stati costretti a pagare per il posto dove dormire, per l’acqua, per la luce, per il gas, per il trasporto sul posto di lavoro. i soldi virtualmente accumulati erano sottratti per le spese, in modo che, a fine mese, i debiti superassero i soldi guadagnati.»

La fuga per la dignità dell’essere uomini liberi

Uomini e caporali non sarebbe stato possibile senza il coraggio e la decisone di ribellarsi e fuggire, nel 2005, di tre ragazzi ventenni polacchi, Arkadiusz, Wojcech e Bartosz. Grazie alla loro denuncia, al blitz dei carabinieri e all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, arrivarono gli arresti dei caporali che portarono a galla questo terribile sistema.

Leogrande ha seguito le indagini, incontrato le vittime e i parenti degli scomparsi. Uomini e donne inghiottiti per sempre dalla terra nella quale erano venuti a cercare dignità. Ha percorso le strade che portano ai campi di lavoro. Dal suo racconto in Uomini e caporali, emerge un Sud in cui è in atto una profonda trasformazione antropologica del nuovo bracciantato globale. Un sud che oscilla tra arretratezza e modernità. All’avanguardia nella gestione del nuovo mercato delle braccia e immutabile per la violenza con cui sono gestiti i rapporti di lavoro.

Oggi come allora, quando le vittime dei soprusi erano i cafoni meridionali.

Il reportage che diventa biografia

In Uomini e caporali il reportage si fa biografia familiare. Leogrande riporta alla luce i fatti della strage di Marzagaglia del 1920. Una strage che vide coinvolti, sebbene non in prima persona, anche i suoi avi, nelle fila dei padroni. Anche in questo caso, come un pendolo che non trova mai pace, la violenza è lo strumento utilizzato per regolare, per disciplinare, i rapporti di lavoro. In quel caso i proprietari, armati di tutto punto, fecero fuoco sui contadini, giunti alla masseria per reclamare la paga che spettava loro, nell’eterno conflitto senza tregua tra padroni e dannati della terra.