Quando un fronte d’aria fredda incontra a terra una massa d’aria calda, quest’ultima si alza al cielo. Nascono i temporali. Pioggia e fulmini, acqua e fuoco. Non ho mai capito chi tra i due fosse il caldo e chi il freddo, ma mi ritengo fortunato di aver incontrato il mio fronte opposto in Claudia Fanelli, la spatriata, come qui chiamano gli incerti, gli irregolari, gli inclassificabili, a volte i balordi o gli orfani, oppure celibi, nubili, girovaghi e vagabondi, o forse, nel caso che ci riguarda, i liberati.
Spatriati
Spatriati è la storia di Francesco e Claudia, due ragazzi del Sud che scopriranno, nel difficile processo della ricerca di una possibile libertà, di essere degli spatriati. Ognuno a suo modo, ognuno con i suoi tempi. Sempre uniti da un sentimento di comunione capace di andare oltre l’amore, anzi, cosa diversa dall’amore. Il romanzo di Desiati è costituito da tre elementi di verità che si rincorrono. La verità del significato delle parole, dei sentimenti e quella geografica intesa come luogo di vita e di fatti di vita. Spatriati è una parola polisemica. È un segno che contiene, esprime, una varietà di significati e spatriati, nella terminologia dialettale del Sud e nel martinese in particolare – e il Sud è parte centrale del romanzo -, indica coloro che vanno via, che abbandonano la patria e quello che nei confini di quella porzione di terra, vi è contenuto: regole di comportamento e stili di vita.
Martina Franca – Londra – Milano – Berlino
Le parole radicate nella terra creano significato, relazione. Comunità. Persino una certa prassi religiosa, richiamata nelle pagine del libro, e la fede sono impastate di parole e terra e i riti diventano strumento per affrontare il presente e le sue assenze – nel caso di Francesco, quella di Claudia – e comprendere la natura profonda di un desiderio fisico, sessuale, inaccettabile e indicibile. Sono indissolubili al luogo che le alimenta e le rende cosa viva. E le parole di Spatriati sono parole intrise di Sud, del dialetto martinese. E il Sud, la Puglia, Martina Franca sono elementi fondamentali. I suoi colori, i profumi della vegetazione, anche quella selvaggia. La terra incolta. Il clima, il vento di maestrale che percuote le imposte e turba gli animi e fa come salire una febbre.
E sarà sulla direttrice Martina Franca – Londra – Milano – Berlino, tracciata per prima da Claudia e seguita poi da Francesco, che spatriati si dimostrerà come l’unica parola possibile per i due giovani, alla ricerca della loro individualità e identità e sul come trovarla scoprendo e interagendo con il mondo. Sarà una migrazione, esistenziale e non più per fame, a spingere i due protagonisti, come molti altri giovani del Sud nei primi anni duemila, alla ricerca di una libertà che passava sì attraverso il lavoro, ma non più inteso come mezzo di realizzazione personale, bensì come strumento che rendava possibile la liberazione della propria sfera intima e privata. Per intenderci, la generazione dei ventenni che sfilava per le strade di Genova durante il G8 trova compimento all’interno delle mura del Berghain di Berlino, una vecchia centrale elettrica comunista dismessa trasformata in uno dei più famosi club underground di musica techno del mondo.
Un romanzo generazionale
E in questo, forse soprattutto in questo elemento, Spatriati è libro generazionale. Ha intercettato un momento della nostra società, un movimento, un moto dell’animo che ha accompagnato e accompagna donne e uomini che si trovano in quel limbo tra i quaranta e cinquant’anni. Che hanno vissuto il benessere dei genitori accompagnato da una richiesta di crescita sociale e culturale, come una cambiale, e che a un certo punto hanno deciso di disattendere. Il prezzo era diventato alto, troppo. Era perdere se stessi. La fuga, una possibilità. E assieme alla fuga, alla migrazione, la sperimentazione, perché Spatriati è romanzo in cui la sperimentazione è subordinata costante alla ricerca, e ciò è valido ancor di più per Claudia e Francesco nel loro vivere gli affetti, il lavoro, l’amore e la sessualità. Gli schemi si ribaltano continuamente, la fluidità prende il sopravvento su quel che era ed è sempre stato. In un gioco di specchi in cui i due protagonisti si cercano e si perdono e si ritrovano e nel ritrovarsi ecco comparire loro, le origini. Il punto di partenza.
Le nostre origini ci rimangono addosso come una voglia gigante sulla pelle, che puoi coprire con tutti i vestiti che vuoi, ma resta sotto e quando ti spogli la vedi.
E, ancora, Spatriati è il racconto di chi non c’è la fatta. Di chi è ritornato a casa. Perché un emigrato avrà sempre addosso un sigillo di vigliaccheria
«Tornato ma sempre spatriato», dicono, alludendo al fatto che non ho una moglie, un figlio, un lavoro certo, ma solo una valigia sempre pronta. Sono un disperso. Un interrotto, secondo la loro idea di mondo. Qualche raro amico ha più cautela mi definisce scapulètə, che è un pò meglio di spatriètə e si usa per i buoi che si liberavano dal giogo.
Titolo : Spatriati
Autore : Mario Desiati
Editore : Einaudi
Pagine: 288
Prezzo: 20,00 €