
[…] la vera, fondamentale educazione a pensare che dovremmo ricevere in un luogo come questo non riguarda tanto la capacità di pensare, quanto semmai la facoltà di scegliere a cosa pensare.
La conseguenza forse più pericolosa di una cultura accademica, almeno nel mio caso, è che legittima la mia tendenza a essere cerebrale, a perdermi nelle astrazioni anziché prestare semplicemente attenzione a quello che mi succede davanti agli occhi. Anziché prestare attenzione a quello che mi succede dentro.
Imparare a pensare di fatto significa imparare ad esercitare un certo controllo su come e su cosa pensare. Significa avere quel minimo di consapevolezza che permette di scegliere a cosa prestare attenzione e di scegliere come attribuire un significato all’esperienza. Perché se non sapete o non volete esercitare questo tipo di scelta nella vita da adulti, siete fregati.
[…] la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa.
[…] riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no. Riuscire a decidere che cosa venerare…Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. […]. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. È un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale […] e che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi.
Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi […]. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. […].
C’è lo scrittore e poi c’è l’uomo. Due figure che, inevitabilmente, si rincorrono, si intrecciano, si avvinghiano. Non c’è pace. Ricerca sì, quella sì. Spinta molto in là, con DFW l’asticella è alta…molto alta…e come un viaggio sulle montagne russe del pensiero. E ascoltare i Beatles insieme ai Red Hot Chili Peppers. E il viaggio avviene all’interno di noi. E’ il nostro pensiero. Siamo noi a venir trascinati tra salite e discese folli.
Ecco, Questa è l’acqua. Una raccolta di sei scritti di DFW composti in un intervallo di tempo che corre tra il 1984 e il 2005. Pagine in cui l’autore indaga aspetti tra i più vari ed intimi e comuni della sua e nostra esistenza. E, scrivendo – lui – e leggendo – noi – abbiamo come la sensazione, almeno così è per me quando leggo Foster Wallace, di partecipare ad una sorta di rito iniziatico. Un battesimo, un Bar mitzvah…comunque un momento di passaggio forte…ecco, c’è un prima aver letto DFW e un dopo aver letto DFW. La scansione del tempo ritmata dalle emozioni. Nulla sarà come prima, qualcosa dentro di te lettore inizierà a rispondere a logiche diverse…leggere DFW è esperienza concreta che marchia la nuda carne, percuote il sistema nervoso, altera le sinapsi e le particelle del DNA. Insomma, è venire al mondo…stupore, dolore, eccitazione. La buona letteratura è questa roba qua.
Questa è l’acqua è sia il nome della raccolta degli scritti ma, soprattutto, il titolo di uno di essi. Si tratta del discorso che tenne il 21 maggio 2005 al Kenyon College durante la cerimonia per il conferimento delle lauree. Michael Pietsch, storico editor di Wallace, ha osservato come il tema del discorso — l’idea di poter trovare un grande significato nei momenti più banali delle nostre vite — fosse ciò di cui Wallace stava scrivendo nel suo ultimo romanzo, Il re pallido, a cui all’epoca stava lavorando. Il discorso di Wallace al Kenyon, ha spiegato Pietsch, fu un “romanzo compresso in una poesia”.