Petrolio è un grosso frammento, quello che resta di un’opera folle e visionaria, fuori dai codici, rivelatrice. Pasolini ci lavora dalla primavera del 1972 ai giorni che precedono immediatamente la morte, la notte tra l’uno e il due novembre del 1975. Petrolio è una bestia selvaggia. È la cronaca di una processo di conoscenza e di trasformazione. È una presa di coscienza del mondo e un’esperimento su se stessi. Tecnicamente: un’iniziazione.

Una matita che incide un segno sopra un foglio bianco determina, in modo immediato, l’instaurazione di un rapporto, di un incontro, tra autore e lettore e, come conseguenza, comporta la trasmissione di una testimonianza, il messaggio, che colui che scrive rende della sua esperienza di vita e Qualcosa di scritto non sfugge a questo duplice mandato insito nella scrittura. A cui, in questo caso, se ne aggiunge un’altro, non meno decisivo per la comprensione del testo, ovvero l’iniziazione come processo per giungere alla conoscenza della verità.

Petrolio, un duplice incontro.

Il libro di Trevi è il risultato della fusione di due generi letterari ben distinti, la saggistica e l’autofiction. Qualcosa di scritto racconta di un duplice incontro, quello con Laura Betti e con Petrolio, il romanzo uscito postumo di Pasolini. Lo scrittore racconta del tempo trascorso, e del suo lavoro di ricerca, presso il Fondo Pier Paolo Pasolini di Roma. Era alle prese, Trevi, con il progetto di scrivere un libro che raccogliesse le interviste di P.P.P. quando venne pubblicato, nel 1992, Petrolio. Al tempo il Fondo era guidato, tiranneggiato, dalla Pazza, almeno così viene definita da Trevi Laura Betti – una figura tragica e mitologica allo stesso tempo, raccontata negli sfoghi e nelle sue intemperanze decadenti – dalla bulimia, alle sigarette fumate senza sosta, alle esplosioni di cieca e indistinta rabbia – senza pudore alcuno del suo disfacimento fisico e psichico.

A fianco dell’incontro con Laura Betti avviene quello con Petrolio, scritto «folle e visionario». Un libro che affonda le radici nella carne nuda e viva di P.P.P e produce una serie di visioni nel tempo. Si potrebbe definire come la cronaca di una iniziazione il cui punto di arrivo è la comprensione delle forze che governano le cose del mondo. Ed ecco comparire i rimandi simbolici, nelle pagine di Petrolio, ai riti iniziatici dell’antica Grecia, i Misteri di Eleusi, richiamati per il tramite di un gioco di immagini e di eventi in cui i protagonisti del libro e il suo plot narrativo non sono più che un accessorio ornamentale. Ecco allora che la scrittura di P.P.P si trasfigura, da esercizio di stile diventa cosa altra. È la testimonianza pubblica – fisica, carnale – di un segreto tramite l’artificio della scrittura di un’opera letteraria.

Il viaggio a Eleusi.

L’ultima parte del libro racconta del viaggio compiuto da Trevi, nel giugno del duemilaundici, a Eleusi. La scrittura cambia tono, sale di intensità, si fa più serrata. La ricerca di una qualche corrispondenza tra lo scritto di P.P.P e quelli provenienti dall’antichità greca, che avevano al centro la divulgazione dei Misteri, diventa un gioco di rimandi e di specchi. Ecco, la ricerca di connessioni, di spiegazioni. Trevi, recandosi fisicamente a Eleusi, giunge alla comprensione, senza tempo, di Petrolio. È l’iniziazione come fine ultimo del pensiero, visione terminale della conoscenza. Visione che non può essere oggetto di insegnamento e, pertanto, di apprendimento, perché non sono i sensi, l’udito, il tatto, a venire coinvolti. L’iniziazione attraversa l’anima come un lampo e si rende possibile attraverso l’esperienza fisica, agisce direttamente sulla mente, lasciando l’impronta definitiva, indelebile. Ecco compiersi il passaggio dalle tenebre dell’inconsapevolezza a quella beatitudine determinata dalla vera conoscenza.

Qualcosa di scritto e il mistero di Petrolio

Il mistero di Petrolio non è più cosa legata a fantomatici capitoli mancanti e sottratti perché avrebbero, nella vulgata corrente, svelato segreti riguardanti le lotte di potere interne all’Eni o riconducibili alla morte di Mattei. Non era la cronaca legata ad oscure battaglie di potere quella che interessava a Pasolini. Attraverso Petrolio lo scrittore di Casarza si stava accingendo a compiere il passaggio definitivo alla suprema iniziazione, a quello stato di perfetta beatitudine e conoscenza in cui si trova l’anima prima della nascita. Plutarco paragonò l’esperienza dell’iniziato a quella che si prova quando sopraggiunge la morte, quando l’anima ormai libera del corpo, può infine ritornare a contemplare la perfetta conoscenza.

Qualcosa di scritto. Né più, né meno – è questa la formula che in varie occasioni riaffiora in Petrolio, come la più adatta a definire l’opera che prende forma. La più adatta, in effetti, a definire la natura di un testo che, come un’ombra o una secrezione appiccicosa, non riesce, o non vuole, staccarsi del tutto dalla sua origine: un essere umano, un corpo vivente («io vivo» afferma non a caso Pasolini in una delle pagine iniziali «la genesi del mio libro» […]. A seconda delle circostanze, qualcosa di scritto, questo mostro informe (tutti i veri mostri sono informi e tutte le vere informità sono mostruose) può assomigliare a un romanzo, a un saggio, a un poema mitologico, a un libro di viaggi, a una raccolta di racconti allacciati tra loro come Le mille e una notte o I racconti di Canterbury. […]. P.P.P, in carne ed ossa. « Ho parlato al lettore in quanto io stesso» confessa in una lettera al suo amico Alberto Moravia. […]. […] qualcosa di scritto significa esercitare sul corpo della lingua una pressione che non è solo mentale, solo culturale. Iniziare a vivere una forma è come dire che a partire da lì, da quella pressione che produce una specie di calco, un individuo inizia a prendere possesso della realtà. […]. È anche un’autodistruzione. «Io desideravo» dice chiaro e tondo Pasolini «anche di liberarmi di me stesso, cioè di morire». Vivere la propria creazione fino alla fine della vita […].

Titolo : Qualcosa di scritto

Autore : Emanuele Trevi

Editore : Ponte alle Grazie

Pagine : 231

Prezzo : 16,80