
Racontare e scrivere di sport, nel mondo della letteratura e dell’editoria, equivale, al meno peggio, a veder accompagnare il proprio lavoro dall’aggettivo sportivo. Letteratura sportiva, come se solo l’aggettivo qualificasse e rendesse comprensibile, definibile e – in qualche modo – degno e spendibile il contenuto del testo. Nei fatti, una deminutio. Una forma di ghettizzazione culturale per chi scrive di sport “a prescindere” dall’abilità dell’autore nel raccontare e nel dar forma agli eventi e ai protagonisti che animano l’opera.
Ecco, per quel che riguarda il libro di Nicola Roggero Premier League. Il racconto epico del calcio più entusiasmante di tutti i tempi tutto ciò è semplicemente superfluo. Il libro appartiene, e a buon diritto, alla famiglia della letteratura senza aggettivi. Nel testo non sono le statistiche ed i tabellini degli incontri a farla da padrone, ma, bensì, il racconto delle vicende di vita degli uomini che hanno contribuito, ognuno per il proprio ambito e ruolo e la propria epoca storica, dapprima, a dar vita e a codificare il gioco del football e, poi, a contribuire e a scrivere pagine indelebili che appartengono e accompagnano, a pieno titolo, la storia popolare e culturale della società inglese. E allora, prendendo il là dagli albori del gioco, in cui il calcio era lo sport per eccellenza della working class britannica, praticato da operai e minatori anche per aggiungere qualche sterlina a stipendi da fame, si arriva sino all’oggi, in cui le società sono equiparabili a vere e proprie imprese multinazionali con fatturati che si aggirano sulle centinaia di milioni euro.
Premier League è la narrazione di una storia senza un finale, una pièce teatrale in cui commedia e tragedia si rincorrono e si intrecciano assumendo – di volta in volta – le sembianze l’una dell’altra come in un perverso gioco di specchi e le cui pagine sono ancora tutte da scrivere e da vivere.