Albert Camus ( Dréan, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960). Premio Nobel per la letteratura nel 1957.

[…] di fronte a quella notte carica di segni e di stelle mi aprivo per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo. Nel riconoscerlo così simile a me, finalmente, così fraterno, ho sentito di essere stato felice, di esserlo ancora.

Leggere Lo straniero e sedersi al tavolo di un caffè. Osservare le persone che passano, frettolose, con le buste della spesa. Porre attenzione ai turisti, seduti al tavolo a fianco e al loro vociare allegro. Cercare i riflessi della luce del sole nei volti dei ragazzi che ciondolano per la città. E, nonostante tutto, o proprio a causa di questo, avvertire quella sensazione, irrimediabile, di estraneità al mondo e a se stessi.

Ecco, Lo straniero è il romanzo che racconta l’estraneità. Ne coglie le sfumature, i tormenti, lo smarrimento e – infine – la quiete che genera e questo grazie alla mediazione degli accadimenti, sostanzialmente due, la morte della madre ed il processo per omicidio che lo condurrà al patibolo, che incocciano nella vita del protagonista e voce narrante, il signor Meursault.

La figura di questo anonimo travét è l’artificio che Camus utilizza per esplorare l’animo umano, la ricerca di senso nei fatti della vita, e, infine, giustificare la riflessione sul come sia possibile che tanto la casualità quanto la piena cognizione di causa possano sfumare e arrivare a confondersi l’una nell’altra dando vita, così, ad un dedalo di possibili verità e di possibili eventi. Tutti egualmente possibili e veritieri. Un caleidoscopio di accadimenti e interpretazioni possibili al fondo del quale rimane lui, Meursault, solo, finalmente felice quando avverte dentro di se compiersi l’indifferenza per il mondo che lo circonda. La pace è raggiunta.