Emmanuel Carrère (Parigi, 9 dicembre 1957) è uno scrittore, sceneggiatore e regista francese.

Di norma una bugia serve a nascondere una verità, magari qualcosa di vergognoso, ma reale. La sua non nascondeva nulla. Sotto il falso dottor Romand non c’era un vero Jean-Claude Romand. 

L’avversario è un libro che racchiude in sé narrazione d’indagine, cronaca giudiziaria e ricerca di senso. Un plot affascinante, ben riuscito, in cui Carrère si cimenta dopo esser venuto a conoscenza di un terribile fatto di cronaca nera accaduto nella Francia dei primi Anni Novanta. Il protagonista, Jean-Claude Romand, padre di famiglia e buon borghese, temendo di veder crollare l’universo di menzogne su cui aveva costruito la sua vita e – peggio dal suo punto di vista, dover patire le conseguenze oscene che avrebbero accompagnato la verità – si decise ad uccidere la moglie, i due figli, il padre e la madre. 

Un libro che rende la sensazione doppia, ambivalente e inquietante, di trovarsi di fronte, al contempo, ad una rappresentazione teatrale, una commedia dell’equivoco, in cui il protagonista indiscusso è Romand, e, dall’altra, ad una tragedia classica e al precipitare in un obitorio sotterraneo di un’istituto di medicina legale, un luogo senza volti, in cui si assiste all’autopsia di cadaveri morti innocenti. Pagine, queste, in cui Carrère riesce a trasfigurare l’orrore degli innocenti rendendo loro, con la sua scrittura, un’ultimo omaggio. 

Un uomo, Romand, al cui interno il vuoto e la menzogna hanno lentamente scavato e corroso i principi morali che sono alla base del vivere sociale. A dominare è una personalità senza carattere alcuno e incapace di provare sentimenti – Umberto Galimberti parlerebbe, a tal proposito, dell’assenza di una educazione sentimentale –  abituato unicamente ad elaborare gli stimoli esterni e programmato a reagire adeguatamente, in maniera consona alle attese che tali stimoli provocavano in lui. Un robot. L’assenza dell’umano e dell’umanità nell’uomo, in cui l’atto – l’omicidio – sostituisce la parola – la verità – quando questa ormai stava per diventare prossima, necessaria. Un’ultima, fatale, fuga dall’assunzione di responsabilità, da quel carattere che contraddistingue, tra gli esseri umani, la condizione dell’adultità.