Romain Kacew, anche noto con lo pseudonimo di Romain Gary e Èmile Ajar (Vilnius, 8 maggio 1914 – Parigi, 2 dicembre 1980). Ha vinto due volte il prestigioso premio Goncourt, nel 1956 con Le radici del cielo e nel 1975 grazie a La vita davanti a sé.

[…] eravamo tutto quello che avevamo al mondo e almeno questo l’avevamo salvato.

Esistono, in letteratura, modi e stili e artifici tra i più diversi per raccontare una storia d’amore. Ecco, Romain Gary con La vita davanti a sé racconta innanzitutto una storia d’amore. Un amore che va oltre l’età anagrafica, l’identità religiosa e la provenienza geografica, ed è quello che lega indissolubilmente la vita di un adolescente nordafricano, Momò, e l’anziana donna che si prende cura di lui, Madame Rosa. E lo fa, Gary, utilizzando uno stratagemma che mette in mostra la sua sensibilità ed abilità di scrittore.

Il trucco è quello di trasmettere i sentimenti che scuotono il giovane Momò facendoli raccontare con la sua voce di adolescente, in prima persona, accompagnati dai suoi inevitabili limiti di comprensione rispetto ai fatti di vita che di volta in volta gli si presentano di fronte, senza la mediazione possibile di un genitore, e quindi costretto ad andare oltre con i soli strumenti dell’amore e della fantasia.

E il lettore, senza sforzo alcuno, si sente precipitare dento le pagine del libro. E sembra di muoverci, noi, senza la mediazione della parola scritta, nella Parigi di inizio Anni Settanta. In quella banlieu di Belleville dove risiedono Momò e gli altri protagonisti del libro. Vediamo il palazzo di sei piani dove vive con Madame Rosa, insieme agli altri marmocchi affidati alla vecchia puttana ebrea. Sì, perché La vita davanti a sé è un libro d’amore avvinghiato indissolubilmente al dolore e alle contraddizioni che accompagnano la marginalità sociale e che caratterizzano la quotidianità di chi vive in una banlieu. La violenza, la criminalità, l’esercizio diffuso della prostituzione, la comparsa dell’eroina, la saggezza dei grandi vecchi arabi, i riti e le credenze degli africani, le miserie dei vecchi francesi in pensione e i profumi e gli odori delle banlieu convivono e si tengono con un’armonia impeccabile.

Ancora, l’attualità stringente di questo libro. I dannati della terra di Belleville ci osservano e interrogano le nostre coscienze proprio come oggi i migranti e i rifugiati che abitano le nostre città e periferie. Un romanzo sull’amore che è anche uno scritto profetico. Ascoltare Brassens e passeggiare per le strade del Balon di Torino pare un tutt’uno con le pagine di Gary.

Non vi racconterò dei misteri che circondarono la pubblicazione del libro, tra cui il comprendere chi si celasse dietro il nome d’arte utilizzato dall’autore per pubblicare il volume, Émile Ajar. Abbiate pazienza di leggerlo e di commuovervi. Il resto non conta.

Gli ho spiegato che Madame Rosa era un’ex puttana che era tornata dalla deportazione nelle comunità ebree in Germania e aveva aperto un rifugio per figli di puttane che si possono ricattare con la perdita della patria potestà per prostituzione illecita e sono costrette a nascondere i loro figli perché ci sono dei vicini che sono delle carogne e ti possono sempre denunciare all’Assistenza Sociale.

Bisogna voler bene.