Poi rimase seduto lí con il binocolo in mano a guardare la luce cinerea del giorno che si rapprendeva sopra la terra. Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.

Un libro post-apocalittico, La strada, in cui il mondo conosciuto viene raccontato dopo la fine del mondo. Un evento, non compiutamente esplicitato – si potrebbe desumere, un collasso ecologico – ha trasformato il pianeta e la civiltà abitata dagli uomini in uno spazio indefinito e desolato, agonizzante e in attesa di essere fatto suo dalla morte.

La strada è anche la via seguita da due individui, un uomo e un bambino, in viaggio e alla ricerca di una indefinita salvezza che ha come obiettivo il mare. Ed è la strada lo spazio fisico che permette al lettore di addentrarsi nel giorno dopo l’apocalisse e, per questa via, nel libro. I nostri sensi precipitano in questa Terra percorsa da incendi che avvampano improvvisi. Dove i corsi d’acqua e i boschi – ormai morti e privi di vita – sono impregnati della cenere depositata dal vento. Il sole è un pallido riflesso oscurato dalle nubi che ricoprono l’orizzonte. I resti delle città e delle abitazioni sono spettrali edifici in sottofondo, depredate, saccheggiate, da bande di uomini allo sbando, simili a branchi di animali selvatici, spietati nel procacciarsi di che sopravvivere.

Non si può fuggire alla crudezza del racconto di McCarthy, la sua voce non fa sconti. Non c’è riparo possibile né tregua. L’orrore non concede speranza. In questo, si è accomunati ai due protagonisti. Resistere, pagina dopo pagina, è la sola possibilità. Null’altro.

Eppure, in un mondo dove l’unica Legge è l’assenza della Legge, dove lo spirito e la trascendenza sono banditi dall’orizzonte degli uomini – il mondo senza Dio – la speranza di una possibile salvezza si incarna in un bambino, accudito da un uomo – suo padre – nel pellegrinaggio verso il mare che i due compiranno in quella che pare una laica via crucis. Asciutto nella scrittura, in questo nel solco dei grandi narratori americani, McCarthy rivela la funzione salvifica del figlio. In lui è la speranza, lui che chiede conferma all’uomo di essere tra i buoni – siamo i buoni perché portiamo il fuoco -. Il bambino che, a differenza dell’uomo, nel suo sguardo verso gli altri esseri umani riconosce, pur nell’orrore, l’Altro come parte di sé.

Non tocca a te preoccuparti di tutto. Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse. Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sí, invece, disse. Tocca a me.

Il padre, in questo, ha il compito di preservare e garantire la sopravvivenza della speranza, del bambino, del Bene. E nel romanzo il figlio è l’incarnazione del Bene che sopravvive, è la speranza che rimane in vita a dispetto della fine del mondo in cui i due protagonisti vagano come spettri.

– Ma chi lo troverà se si è perso? Chi lo troverà, quel bambino? Lo troverà la bontà. È sempre stato cosí. E lo sarà ancora.

La strada è un libro biblico, impregnato di rimandi e simboli della Sacra Scrittura, ed è un romanzo di un uomo e di suo figlio, non per caso entrambi spogliati del nome. Racchiudono, in questo, tutti i padri e tutti i figli dell’umanità, quelli che sono stati e quelli che verranno. Come bene ha ricordato lo psicoanalista Massimo Recalcati

Se la mano del padre custodisce la vita del figlio, è solo la vita del figlio che dà senso al viaggio del padre.