Nana Kwame Adjei – Brenyah è nato a Spring Valley, nello stato di New York. Friday Blck è il suo libro esordio e grazie all’ottima critica letteraria ricevuta gli ha permesso di venire incluso – grazie anche alla segnalazione di Colson Whitehead – nella lista dei «5 Under 35» , prestigioso riconoscimento annuale con cui la National Book Foundation segnala i cinque migliori esordienti statunitensi sotto i trentacinque anni.

La gente parla di «vendersi l’anima» come se fosse facile. Ma l’anima è tua e non te la puoi vendere. Anche se ci provi resta sempre lì, in attesa che ti ricordi della sua esistenza.

Scrivere delle pulsioni che agitano la società ed il tempo che ci è dato da vivere. Non fare sconti, di nessun tipo, alle contraddizioni che lacerano quel tessuto sociale fatto di mille connessioni che possiamo chiamare famiglia, amici, colleghi di lavoro, concittadini. Connessioni che, come i filamenti nervosi per le sinapsi, permettono di trasmettere gli impulsi ed i segnali da un individuo ad un un altro. E connessioni che, come per il cervello di un grave traumatizzato, inesorabilmente perdono la loro funzione primaria, cessano di scambiarsi gli impulsi che permettono il funzionamento dei neurotrasmettitori ed il passaggio del segnale da una cellula all’altra. È il cortocircuito dei valori e della società intesa come comunità di liberi individui, a cui assistiamo quotidianamente. 

Nei fatti, è leggere La strada di McCarthy oggi, nell’odierno post apocalittico. Nana Kwame Adjei – Brenyah, grazie ai dodici racconti che compongono il suo libro, racconta come un chirurgo che incide con il bisturi, scopre senza remore l’orrore che permea il quotidiano futuro, o futuro quotidiano, di un mondo e di una società in cui la nevrosi è diventata cifra comune della società e degli individui che la popolano e la vivono. Friday Black, e non Black Friday…, è uno specchio in cui osservare un’ipotesi di quello che potremmo essere. Un gioco, un’esercizio di stile – peraltro ben riuscito – forse una premonizione. 

Mi faceva la grazia di fingere che fosse tutto normale. In questo eravamo bravi. Recitare una parte, ignorare la nostra stessa disintegrazione.