John Fante (Denver, 8 aprile 1909 – Los Angeles, 8 maggio 1983) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense. Figlio di un abruzzese emigrato in America nel 1901 e di una casalinga statunitense di origini italiane. Nell’immagine, un particolare del deserto del Mojave situato a un centinaio di miglia a nord-est della cittadina di Los Angeles.

Così l’ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia ceca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c’è una ragazza ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro.

Prologo di Chiedi alla polvere, tratto da La grande fame. Racconti 1932-1959, traduzione di Francesco Durante, Torino 2007.

Chiedi alla polvere è il romanzo della consacrazione per John Fante. Pubblicato nel 1939, racconta le vicende e le peripezie di un giovane ventenne, Arturo Bandini, alle prese con il sogno e il desiderio – con la febbre, ecco – di affermarsi come romanziere. Scritto in prima persona, Fante, per il tramite di Bandini, suo alter ego letterario, ci consegna la viva testimonianza dei suoi anni iniziatici losangelini. Un affresco in cui emerge l’America ancora segnata dagli effetti della Grande Depressione, in cui lo stesso Fante-Baldini ci racconta la sua quotidianità segnata dalle ristrettezze economiche e dagli incontri – e così sarà con l’amata cameriera Camilla – con quel variegato universo di diseredati che vivono e animano i bassifondi della città. Il libro è un susseguirsi di cadute e peripezie e piccole e grandi rivincite. Di vizi e presunti peccati contrari alla morale cattolica – e qui emergono le radici italiane della famiglia di Fante-Bandini, immigrato di seconda generazione – a cui fanno seguito pronti ravvedimenti inevitabilmente destinati ad essere nuovamente infranti.

Chiedi alla polvere è un viaggio in cui l’autore-protagonista prende coscienza di sé nel suo andare per le strade polverose della città, nel suo peregrinare il travaglio di venire al mondo. Un’imprecazione, un canto d’amore. Una bestemmia.

Los Angeles, dammi qualcosa di te! Los Angeles, vienimi incontro come ti vengo incontro io, i miei piedi sulle tue strade, tu, bella città che ho amato tanto, triste fiore di sabbia. Un giorno e un’altro giorno e il giorno prima, e la biblioteca con i grossi nomi degli scaffali, il vecchio Dreiser, il vecchio Mencken, tutta la banda riunita che andavo a riverire. Salve Dreiser, ehi Mencken, ciao a tutti, c’è posto anche per me nel settore della B, B come Bandini, stringetevi un pò, fate posto ad Arturo Bandini.