
La nostra mente, il nostro sistema nervoso, e perfino quella cosa che si suole chiamare anima, erano permeati dall’assenza di luce. Ci sentivamo come figli perduti senza possibilità di riscatto. Non eravamo spronati dalla ricerca della gloria, non ci importava niente del futuro, non pretendevamo di utilizzare al meglio i nostri giorni. Ciò che cercavamo era solamente un’anestesia che ci destituisse dal presente.
Andrea Pomella con Anni luce ha scritto un romanzo la cui qualità principale è l’onestà. E non è banale, badate bene, soffermarsi su quel sentimento di onestà che emerge nitido dalle sue pagine. Un autore si misura anche e soprattutto dalla capacità di raccontare onestamente se stesso, le sue emozioni. Senza censura.
Anni luce racconta di un triennio, compreso tra il 1992 ed il 1995, e la vita giovane di due amici, l’autore narratore e Q, e il loro sentire ed essere parte del mondo. Un sentimento del tempo che trova sintesi e realizzazione compiuta nella poetica e nella musica grunge, in particolare modo negli “album triade” Ten, Vs e Vitalogy dei Pearl Jam. Ecco, i testi della canzoni della band di Eddie Vedder sono, simbolicamente, le note a piè di pagina del romanzo. Accompagnano i due amici nel loro incedere e vagabondare per le città e gli spazi del mondo. Le periferie romane, i centri sociali, il viaggio Interrail alla scoperta del nord Europa. Uno scoprire se stessi. Il bere dissennato come rito per rimanere aggrappati alla giovinezza, gli acidi, le feste senza ritorno in cui la distruzione è cifra e tema dominante. Gli anni Novanta, insomma, raccontati da chi allora aveva vent’anni attraverso un punto di vista, come detto, parziale, ed in cui l’impegno sociale e civile dei suoi coetanei sfuma, volutamente, nelle pagine del romanzo. Un romanzo piacevole, godibile, una lettura consigliata per i quarantenni di oggi, ventenni non pentiti di un mondo crollato e inghiottito dal cratere del World Trade Center.