Roberto Bolaño (Santiago del Cile, 28 aprile 1953 – Barcellona, 14 luglio 2003).

Io sono la madre dei poeti del Messico. Io sono l’unica ad aver resistito dentro l’università nel 1968, quando entrarono i reparti antisommossa e l’esercito. Io sono rimasta da sola in facoltà, chiusa in una toilette, senza mangiare per più di dieci giorni, per più di quindici giorni, dal 18 al 30 settembre, non mi ricordo più.

Sono rimasta lì con un libro di Pedro Garfias e la mia borsa, nient’altro, vestita con una camicetta bianca e una gonna plissé celeste, e di tempo ne ho avuto d’avanzo per pensare e ripensare.

Un romanzo inafferrabile, Amuleto. Un gioco continuo di specchi e di rimandi in cui le forme stesse dei personaggi descritti e raccontati da Auxilio Lacouture, protagonista e voce narrante, mutano e si rimodellano di pagina in pagina. E così è per il tempo e per lo spazio, elementi che nel libro vengono plasmati come in un sogno dal genio di Bolaño, abile nel renderli alla stregua di materia organica, viva.

Una scrittura che diventa visione, o, indifferentemente, una visone che si fa racconto. Realtà e sogno si intrecciano inestricabilmente nel racconto di Auxilio. Vediamo lei seduta, accovacciata, sdraiata, nel bagno del quarto piano della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’UNAM, ultimo rifugio e estremo atto di resistenza per sfuggire alla furia degli agenti dell’esercito messicano mentre fanno irruzione nell’università arrestando studenti, personale non docente e docenti.

E vediamo e leggiamo Auxilio trasformarsi nella madre di una generazione di giovani poeti messicani e latinoamericani. Poeti che sono stati, che sono e che saranno. Lei, con il sorriso velato dalla mano, che vive le strade e l’aria polverosa di Città del Messico. La sua vita notturna, seduta nei caffè, a discutere di poesia e poi, facendosi beffe del tempo e dello spazio, la vediamo nuovamente comparire accovacciata nella toilette dell’UNAM. Un raccontare che è un’andata e ritorno senza un’attimo di tregua, come in un sogno. Gli elementi si sovrappongono, i volti dei giovani poeti si induriscono in quelli di uomini andati a difendere le rivoluzioni che animavano la maiuscola America. E lei, Auxilio, che resiste e, per questo suo resistere nei bagni dell’università, ha il privilegio di vivere ad li là del tempo e dello spazio.

Un racconto che è un eterno presente, oppure il suo opposto. Nulla è definito in questo romanzo onirico che Bolaño intende anche come testimonianza e racconto di un canto.

di guerra e di amore, perché quei bambini andavano senza dubbio in guerra ma lo facevano ricordando i gesti teatrali e sovrani dell’amore.

E la vita che si racconta è, a ben vedere, il canto che la letteratura lascia come eredità indelebile alle generazioni che verranno, ai giovani che sono stati, a quelli che lo sono e a quelli che lo saranno negli anni e nei secoli prossimi. Un canto che non ha tempo.

Così i ragazzi fantasma attraversarono la valle e precipitarono nell’abisso. Un passaggio breve. E nelle mie orecchie il loro canto fantasma o l’eco del loro canto fantasma, che è come dire l’eco del nulla, continuò a marciare al loro stesso passo, che era il passo del coraggio e della generosità.

E quel canto è il nostro amuleto.